Diceva Tristan Tzara: "Dio e il mio spazzolino da denti sono Dada".
Ma cosa c'entra tutto ciò con il noto personaggio senza identità di Woody Allen, Leonard Zelig?
Galeotta fu l’intervista a Francesco Lanza su Intervistato.com, che ha fatto da detonatore al dibattito sull’identità digitale che da tempo covava sotto la cenere di questa calda estate italiana.
Nel convegno per il centenario di Marshall McLuhan, prima, e negli interventi di Giovanni Scrofani all’evento Panta Rei e Paolo Mulè all’IDCamp2012, poi, si era già affrontato il tema in modo profondo ed erudito. Ciononostante, l'argomento era talmente vasto e ricco di pieghe inesplorate, che rimaneva un certo senso di incompiutezza, di parzialità... È proprio in questo quadro che l’intervista a Francesco Lanza ha acceso la miccia della creatività di alcuni membri di quel gruppo di burloni cyberdadaisti che compongono Gilda35 (la cosiddetta "cabina di regia del NONblog).
In modo spontaneo e del tutto inatteso, (complice un "provvidenziale" bug di Facebook per iPad che inverte avatar e nomi dei partecipanti alla discussione - quando si dice che il Diavolo ci mette lo zampino...) si è quindi deciso di non confinare la discussione al solo gruppo Gilda35, ma di trasportarla al contrario in altre sedi. Nella fattispecie, i gruppi di (dove si dibatteva proprio in quel momento delle irriverenti gesta di Francesco Lanza) e (quest'ultimo, luogo deputato par excellance alle discussioni sui temi della cultura digitale): e cosa poteva esserci di più cogente che "performare" una discussione sull’identità digitale attraverso un atto dadaista e dissacrante che fosse capace di (non) lasciare un segno indelebile sul tema?
Perché ogni gesto dadaista, per quanto memorabile esso possa essere, deve essere altrettanto estemporaneo ed effimero. Geniale, straniante e al tempo stesso impermanente come un'opera di Banksy.
Ogni traccia, si sa, è destinata a sparire, a cancellarsi come le frasi graffiate sulla sabbia del bagnasciuga.
In perfetta armonia con l'estetica e l'ésprit irriverente di Dada, cavalcando una citazione dentro una citazione dentro una citazione, i membri di Gilda35 partecipanti alla discussione hanno preso (spronati dallo stesso Lanza) a modificare il proprio avatar su Facebook con l'enigmatico volto di Leonard Zelig (superbo protagonista dell'eponimo capolavoro di Woody Allen sui temi della permeabilità e aleatorietà dell'identità individuale) effigiato nella sua versione "indigeno analogico d'america" (leggasi "pellerossa").
Citando la critica cinematografica:
Zelig è un uomo affetto da una malattia che ne cambia i tratti somatici ed il comportamento in funzione del contesto e delle persone che lo circondano, proiettando tutti i pregi e difetti delle diverse etnie e personalità. Con Zelig, Allen riesce a trasmetterci un’intima critica alla società, i cui pregiudizi si esplicitano in ogni sua incarnazione. Il regista ci offre una profonda riflessione sulle personalità, grazie alla vita impossibile di un uomo che nega sé stesso, specchio di ciò che il contesto pretende, impotente.
Ecco dunque che un , nel momento in cui tutti i partecipanti esibiscono un medesimo volto - icona dell’aleatorietà dell’identità sociale - sollecita e parla a più livelli, arrivando al cuore del tema, travalicando le parole.
Attraverso l’assimilazione dei loro "tratti pubblici", gli individui perdono le connotazioni per cui possono definirsi tali, facendosi soggetto collettivo e ultraindividuale (à la Luther Blisset, per intenderci). Il senso di incompiutezza che permeava i precedenti dibattiti sparisce in un istante e, senza che una sola parola sia stata proferita (come, appunto, di fronte a un’opera estemporanea di Banksy), il "senso" del tutto aleatorio dell'identità nel mondo digitale ci si trasmette a pieno. Per la precisione, il senso stesso di identità finisce alla deriva.
Lo smarrimento momentaneo diventa esso stesso rischio e opportunità: opportunità di far trasparire significati nuovi e del tutto inattesi, liberi di fluire attraverso la ferita che l'atto dadaista ha inferto alla logica della stabilità identitaria: ecco dunque che l'identità da statica ridiventa fluida; ecco che gli individui si fondono e si confondono, ognuno così unico, eppure così uguale. Ognuno così conforme eppure così diverso.
Il fatto, poi, che della performance in sé si perda traccia per via del successivo ritorno collettivo al proprio avatar, rende il tutto splendidamente Dada, nonché oltremodo significativo rispetto alle questioni trattate: forse, nel merito di un dibattito sul concetto di "identità digitale", un simile gesto vale più di qualsiasi panel di esperti...
In parallelo, mentre nel gruppo di Indigeni Digitali la discussione non sembrava aver suscitato particolari reazioni (probabilmente in quel momento il sentimento dominante era una sorta di immobilizzato stupore, visto che più tardi sono apparsi nel gruppo interventi come - l’allegria è contagiosa!), su Twitter prende piede lo hashtag , e i simpatici burloni dadaisti di Gilda35 finiscono per essere "imitati" da molti che allo stesso modo cambiano la propria foto del profilo e addirittura il proprio nome pubblico (qui trovate lo storify dello #ZeligDay).
Anche su Twitter, come nella discussione nel gruppo Facebook di Indigeni Digitali, non si può ricreare oggi l’effetto visivo dell’atto performativo, per documentarlo: i partecipanti hanno ripristinato alle 00:00 del 2 agosto le loro immagini “tradizionali”.
Ma è proprio quest’atto effimero e senza traccia apparente a lasciare in noi un vago senso onirico e farci chiedere: “ma quel pomeriggio d’agosto in cui tutti si sono trasformati in Leonard Zelig, è accaduto davvero o me lo sono sognato?"
Appuntamento dunque al 1 agosto 2013, quando si festeggerà la prima ricorrenza annule del #World Zelig Day.